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in collaborazione con BAM TEATRO
NON CHIAMARMI ZINGARO
lo spettacolo di e con PINO PETRUZZELLI
Pino Petruzzelli, come ha scritto Stefano Jesurum sul Magazine del Corriere della Sera, “è un personaggio in un certo modo d’altri tempi, attore, regista, uno che passa la vita a girare per conoscere, capire e raccontare. Alla scoperta di ciò che Pablo Neruda chiamava la pena nera – malinconia, spensieratezza, tristezza, serenità, amore, vita. Cento volte è stato nelle loro baracche, nei ghetti di cemento e in quelli di lamiera. Ha raccolto testimonianze, ha studiato. Poi lo spettacolo L’olocausto dimenticato. Poi ancora queste 230 pagine di racconti, confessioni, storie. Voce narrante coloro di cui tutti abbiamo paura ma che nessuno di noi conosce.”
Le baracche e i ghetti sono quelli dei rom e dei sinti e le 230 pagine sono quelle del libro Non chiamarmi zingaro edito da Chiarelettere, uscito nelle librerie l’estate scorsa e giunto alla terza edizione.
Oggi il libro diventa uno spettacolo teatrale in cui Pino Petruzzelli racconta i rom incontrati in mezza Europa lasciando loro la parola per meglio capire e conoscere quegli “zingari” che una parte consistente dei media e della politica italiana hanno contribuito a far diventare i nostri maggiori nemici, la causa di tutti i mali, gli agnelli sacrificali perfetti. A questi veri ultimi della nostra società lo spettacolo è dedicato.
Ecco cosa scrive lo Svenska Dagbladet, uno dei maggiori quotidiani svedesi, a proposito del libro: “Si tratta di una lettura affascinante, spaventosa e istruttiva. Petruzzelli identifica il terreno fertile del razzismo soprattutto nella paura e nell’insicurezza delle persone nei periodi di difficoltà economica. Siccome i grandi movimenti popolari hanno finito l’ossigeno, adesso ci troviamo di fronte agli effetti della crisi come individui singoli, non come parti di una collettività in cui si affrontano insieme i problemi con strumenti politici. In una situazione tale, com’è quella dell’Italia attuale, è facile convertire ”lo zingaro”, ”lo straniero” o ”il musulmano” in un capro espiatorio.”
Dice Claudio Magris: “I rom sembrano oggi la minaccia maggiore alla nostra sicurezza. Cieca bugia, distrazione di massa dalla realtà complessiva. Credo che i commercianti taglieggiati dalla camorra scambierebbero volentieri il danno, l’intimidazione -non di rado la morte- che sono costretti a subire con i fastidi di chi abita non lontano da un campo nomadi.”
Da come una società tratta gli ultimi, ha detto Gandhi, si può vedere rappresentato senza mistificazioni il suo livello di evoluzione.
Ma chi sono gli zingari? O meglio chi sono i rom? E i sinti? Che cosa pensano?
Lo spettacolo è un canto d’amore per un popolo che non avendo mai avuto confini da difendere, nella sua lunga storia, non ha mai dichiarato guerra a nessuno.
Se un bambino piange si va a vedere perché piange e Petruzzelli si è calato, fisicamente, per cinque anni nei campi nomadi e nei ghetti di mezza Europa per poi raccontarci, con sguardo lucido e appassionato, la vita dei tanti volti puliti di una cultura che del nomadismo ha fatto l’unica possibilità di sopravvivenza.
Pino Petruzzelli c’invita a salire sul carrozzone degli ultimi, gli zingari, per rifuggire stereotipi e luoghi comuni e per ascoltare la loro verità.
Lo spettacolo, lontano da facili romanticismi o morbosi compiacimenti, è un viaggio iniziatico attraverso un mondo, quello rom, che varrebbe davvero la pena conoscere, come ci consigliano due grandi Premi Nobel quali Gabriel Garcia Marquez e Gunter Grass.
Non chiamarmi zingaro è dedicato a tutti coloro che non riescono proprio ad accontentarsi di mezze verità o di verità di comodo.
A proposito del libro Francesca Mazzucato ha scritto: “E un libro bellissimo. Un libro che, una volta finito, si legge e si rilegge. Un testo di respiro civile, di grande poesia, che se vivessimo in tempi meno foschi dovrebbe essere reso libro di testo nelle scuole, dovrebbe essere diffuso fra i ragazzi, fra la gente, e spero che lo sia comunque, che venga letto. E’ un libro-miracolo. Uno dei quattro o cinque libri usciti quest’anno che dovreste davvero leggere.”
I precedenti spettacoli di Petruzzelli dedicati al popolo rom cioè L’olocausto dimenticato e L’olocausto di Yuri sono stati trasmessi dalla trasmissione Terra! di Canale 5, mentre Non chiamarmi zingaro è coprodotto da Teatro Stabile di Genova, Mittelfest 2009 e Centro Teatro Ipotesi.
rassegna stampa
“Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici, considerate se queste sono persone”. Finisce citando Primo Levi lo spettacolo Non chiamarmi zingaro di Pino Petruzzelli, ispirato all’omonimo suo libro, andato in scena lunedì al Mittelfest. Un monologo lento, riflessivo, circostanziato, documentato. Quasi l’arringa di un avvocato della difesa chiamato a sostenere la tesi di un imputato di reati che la giuria ritiene, pregiudizialmente, efferati.
La pacatezza del narrare di Petruzzelli è voluta, ricercata, estenuante: per un’ora e venti il regista, attore, scrittore ed esploratore di geografie umane, rimane quasi immobile nello stesso punto del palcoscenico. Pochi gesti delle mani. Poche variazioni nel tono. Il tutto con un effetto devastante: costringe ad ascoltare, obbliga lo spettatore a non incedere sullo spettacolo, ma ad accendere il cervello, a innescare domande. Cosa mi sta raccontando quest’uomo, con così poca enfasi, con tanta delicatezza? La platea vive una sorta di inversione magnetica: proiettati dalla frenesia del quotidiano che l’esperienza festivaliera moltiplica perché si è costretti a correre da uno spettacolo all’altro, davanti a Petruzzelli si è costretti a fermarsi. A porsi un quesito: cosa ne so io degli zingari? Quanti pregiudizi ho su ciò che non conosco?
Petruzzelli evita il sensazionalismo nel raccontarci le storie che ha raccolto in 5 anni di indagine nel mondo di quelli che noi, i gagé, chiamiamo zingari.
… Il momento topico della sua narrazione è quando dichiara: “Fino al 1400 non ci furono problemi di convivenza fra zingari e gagé.” Pochi anni dopo invece gli zingari divennero l’oggetto di una capillare campagna di controllo sociale che si servì della loro mitezza per farli diventare il principale nemico della socialità. Da allora nessuno si è posto il problema di verificare se quanto si dice sugli zingari corrisponda a verità.“
Alessandro Montello (IL MESSAGGERO VENETO)
“I muri dunque, le cortine di ferro e non. Quando il sipario si strappa tutto sembra diventare irreversibile. Alcune immagini forti ce l’hanno ricordato. La prima è quella inquietante e forte di Pino Petruzzelli che in Non chiamarmi zingaro con il suo gesto antico di narratore popolare, solo in scena, racconta la storia di razzismo vecchio e nuovo, di violenza e di ignoranza che perseguita il popolo rom e sinti (da Petruzzelli raccolta in un volume edito da Chiarelettere). Dall’800 ai lager nazisti, ai campi di oggi, alle “ville” sotto i ponti, l’attore si trasforma in maschera e megafono di un’incomprensione e di una violenza secolare che ci sembra impossibile trovi ancora oggi tenaci seguaci.”
Maria Grazia Gregori (L’UNITA’)
“Coraggioso Pino Petruzzelli, ieri al Mittelfest, nella prima di “Non chiamarmi zingaro”. Un viaggio senza retorica, né sentimentalismi, nel mondo del popolo Rom e Sinti, che coniuga la potenza della poesia con un accurato lavoro di conoscenza e documentazione. Prodotto da Centro Teatro Ipotesi in collaborazione con Teatro Stabile di Genova e Mittelfest, il lavoro risuona come un vero e proprio canto d’amore per un popolo che, “non avendo mai avuto confini da difendere, nella sua lunga storia non ha mai dichiarato guerra a nessuno”. Alla base il libro scritto da Petruzzelli (edizioni Chiarelettere) dopo cinque anni di full immersion nella cultura dei cosiddetti zingari, “considerati “diversi” e perseguitati da sempre”, per scoprirne i tesori d’esperienza, cultura e tradizione oltre il pregiudizio e le ostilità. Uno spettacolo per dare finalmente la parola ai Rom, “di cui tutti hanno paura e nessuno conosce”, abbattendo i muri cui il Festival (Mittelfest 2009) è dedicato.”
Alberto Rochira (IL PICCOLO)
Editoriale di Pino Petruzzelli su “D” di Repubblica
“Da sempre i rom e i sinti sono stati quello che noi avevamo bisogno di vedere in loro. Ora l'incubo, ora il sogno, mai degli esseri umani con le nostre stesse, mille, sfaccettature. Nell'immaginario collettivo o suonano il violino o sono delinquenti. In tutti e due i casi, nel bene o nel male, falsità.
Proiezioni distorte di nostri bisogni che sfociano nel razzismo.
Si obbietterà: se lo meritano, gli zingari rubano.
E' vero, alcuni rom e sinti rubano, come alcuni siciliani sono mafiosi, come alcuni veneti tirano pietre dai cavalcavia, come alcuni professionisti frodano il fisco, ma il fatto che "alcuni" vadano fuori dalle regole non ne sancisce una generale e aprioristica negazione dei diritti.
Molti italiani di etnia rom e sinta, perché la maggior parte di quelli che vivono nel nostro territorio sono italiani a tutti gli effetti, vivono mescolati con noi senza che nessuno se ne accorga. In Italia ci sono pittori, professori universitari, neurologi, campioni sportivi, impiegati rom e sinti, per non parlare di quello che accade nel resto d'Europa. In Bulgaria il maggior cardiochirurgo del paese è rom.
Quanti di quelli che amano la musica sanno che il primo grande jazzista europeo Django Reinhardt era zingaro?
Quanti di quelli che amano il cinema sanno che Yul Brynner era zingaro? Così come Michael Caine e Bob Hoskins. Persino Charlie Chaplin e Rita Hayworth avevano una parte di sangue zingaro nelle vene.
Quanti tifosi che la domenica affollano gli stadi sanno che diversi loro beniamini, anche in odore di Pallone d’Oro, sono zingari?
Per noi i rom e i sinti sono solo quelli che chiedono l'elemosina o che rubano i bambini.
Peccato pochi sappiano che gli zingari non rubano i bambini, lo ha dimostrato una ricerca dell’Università di Verona, che, scartabellando tra i documenti di tutte le Procure italiane, non ha trovato neanche un solo caso di rom condannato per questo crimine. Al contrario, e peccato che pochi lo sappiano, la civilissima Svizzera, per legge e fino al 1976, “rubò” i figli appena nati agli zingari svizzeri tentando così di “sradicare il male del nomadismo.”
Già, peccato che pochi sappiano.
Ci battiamo per l’abolizione degli zoo, ma mettiamo in piedi campi zingari nei posti peggiori dove ghettizziamo e umiliamo degli esseri umani. Si impedisce a rom e sinti di viaggiare e nello stesso tempo di fermarsi. Eppure ci aspettiamo gratitudine. Vorremmo andare in mezzo a loro e vederli piegati in quattro per ringraziarci.
Osservando i luoghi che destiniamo loro nelle città, possiamo vedere rappresentato, senza veli o mistificazioni, l'interesse che questo secolo nutre verso quei dimenticati della Terra che prendono ad esistere ai nostri occhi solo in campagna elettorale. Gli "ultimi" sono un ottimo argomento di discussione, un nuovo campo di battaglia. Alla fine delle ostilità, poi, i vincitori andranno a fare festa, i vinti si leccheranno le ferite e il campo di battaglia devastato sarà ripianato e pressato a dovere con un bel rullo per essere pronto, quando sarà il momento, per nuove battaglie.
Noi crediamo di conoscerli, ma in realtà non sappiamo niente di ciò che sono costretti a subire: dagli sgomberi ai rifiuti per le donne a partorire negli ospedali. Questa è la loro quotidianità.”
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